Settembre. E’ svanita la malinconia dei tempi della scuola e il bagaglio d’inquietudine nel fare a chi è più alla moda. Le giornate sono una sbaffatura dell’estate. A settembre il sole è stanco di ardere, per questo si riposa sul cielo limpido. Al mattino l’aria è fresca, ché poi si sta bene al mare, sulla spiaggia senza quasi nessuno, a guardare intorno quel che si farà. I progetti iniziano ogni autunno, le passioni stemperano e lo sguardo si disperde ovunque. Non si sa dove andare, eppure si va. L’autunno dice il vero alle nostre coscienze mai chiarissime. Io amo l’estate, che illude. Detesto l’inverno, quando sfianca le forze. Lo amo, però, nelle giornate brillanti di sole come vetri lisci e lucidi.
Il nostro tempo è lineare, ma le stagioni si susseguono ciclicamente. La spirale in cui siamo presi non ci fa capire con esattezza cosa succederà. Può essere che un giorno dirò: ‘Questa è la stagione più bella della mia vita’. C’è stato un tempo in cui ho desiderato essere come quell’amica di una mia amica, che lasciò il fidanzato perché non l’amava più. Perciò, lasciai il fidanzato e il lavoro, che non ho mai amato, per cercarne un altro da amare, sia di lavoro che di fidanzato. Oggi mi ritrovo a desiderare di essere come la signora Anna, che passeggia sulla ciclabile per tenersi in forma. Anna vive in un palazzo abbracciato da una gigantesca bouganville. Immagino anche la sua soddisfazione nel dedicarsi a cose che le piacciono, senza stancarsi troppo per il resto. Insomma, può essere che mi sia scocciata di farmi il mazzo per nulla.
Giusto il tempo di scendere le scale e sono in strada con Orlando, il mio cane. I lampioni sono fari guida per un viaggio insolito nella sera cittadina. Dall’alto vedono più di noi. Quello che emana una luce giallognola ammicca. Sembra un invito, il dare di gomito raffinato di uno abituato a mantenere il controllo di sé. Lo raggiungo, lui appena mi vede vuota il sacco, inizia a raccontare la strana storia della signora che definisce la ladyhawke dei nostri tempi. Incuriosita seguo la vicenda. C’è una donna, che abita al secondo piano, terza serranda da sinistra. E’ sposata, ma condannata a non incontrare mai il suo amato. Uomo e donna sono entrambi vittime di una maledizione, sostiene il romantico lampione, che li obbliga a litigare da svegli e di notte, invece, a sognare di amarsi. Riflettendo su uno tra i tanti epiloghi felici della storia, giro l’angolo. Avverto un senso di trepidazione, come chi sta per salpare sfilando di tasca un biglietto anonimo con su scritta la meta, che, per adesso, è il prossimo lampione, a dire il vero più moderno. Esso risplende di luce bianca, discreta. Questo suo modo di fare spegne i pensieri strampalati, mentre la luce del primo ne aumentava il potenziale visionario. Ora, non so se sono gli anni della giovinezza ad essere passati o è il clima triste che si respira nell’epoca attuale, in cui la gente volta la testa altrove rispetto a dove guardo io. Non so. Fatto sta che manca la musica di allora, quella dei jukebox, che allagava il mondo, trasformandolo in una piazza gigantesca. Oggi pomeriggio, dal bar all’angolo, suonava quella musica e tutto sapeva di familiare. Il sole entrava di sbieco nella via, portando per attimo qualcosa che assomigliava al senso della vita. Lì si respirava dentro la giustezza delle cose che, stando tutte al loro posto, non richiedevano l’intervento immediato dell’essere umano atto a trasformarle, per renderle idonee e utili a se stesso. No, in quel momento non c’era nulla da cambiare: né il luogo né se stessi. E’ durato poco, solo che quel poco dovrebbe succedere più spesso. Questa è la storia che il lampione dalla luce discreta non poteva sapere.
Io e il mio cane siamo dritti davanti ad un’altra meta. Io guardo il nuovo lampione da lontano: un affare stanco e ricurvo, con dei trascorsi non proprio allegri. Lo possono comprendere i suoi compagni, quelli che illuminano le piazze deserte nei paesetti d’inverno. Il lampione è abituato alla solitudine, si vede. Non richiede compagnia, infatti è taciturno, sebbene abbia storie da dire: fatti e aneddoti accaduti sotto di lui da chissà quanto tempo. Come in quegli anni che illuminava le gesta di una comitiva di ragazzi e ragazze, tutti stretti stretti intorno alla sua luce, come pulcini, nelle sere della gioventù, a raccontare versioni abnormi e grottesche della realtà di cui si facevano beffe. Ridevano come cuccioli di animale e avevano progetti. Non come i progetti degli adulti, sfoderati dalle tasche alla maniera dei soldi. Lo fanno dimostrare di avere moneta spendibile nel loop dei doveri in cui si cacciano. Idee giuste, si capisce. Gli adulti sono pieni di idee brillanti e progetti da realizzare per sentirsi vivi. I giovani sono vivi, perciò hanno progetti da realizzare. Gli adulti devono andare avanti a tutti i costi, superando il proprio tempo, così facendo lo ingannano. Passano sopra a tutto e tutti come uno schiacciasassi. Se si sentono arrivati, parcheggiano dove c’è scritto di non parcheggiare, poi vanno al bar, a gustare una pastarella divinaaa… Fanno i complimenti al barista, domandando dove l’ha presa e lui risponde una cosa così, tanto che cacchio ne sanno e, soprattutto, che cacchio gliene frega. I giovani non hanno di questi problemi.
Procedo nella mia avventura a due passi da casa, avvicinandomi al prossimo faro nella tempesta casalinga. Posata la mano sul palo che lo sorregge, sento che mi offre sostegno e riposo. Non me lo aspettavo, indifferente come appare. Posso scagionarlo, infondo è solo rassegnato. In una stagione della sua vita s’era posto il fine di illuminare i volti di quella coppia che, di sera, stazionava sotto di lui. Le fronde degli alberi, però, coprivano la luce, tratteggiando i volti dell’uomo e della donna di ghirigori, forme vegetali, contorni fogliari, come fossero esseri sovrannaturali, metà umani e metà piante. I due parlavano a lungo, senza capirsi. Lei spiegava accuratamente i suoi sentimenti, lui aveva sempre una risposta adatta, impeccabile, di quelle risposte che concludono i discorsi. Lui non riusciva ad andare oltre le parole di lei, ad intuirvi una richiesta di attenzione e d’amore. Dopo numerosi tentativi fallimentari, il lampione concluse che la colpa era la sua, non era riuscito ad illuminarli come avrebbe voluto. Successivamente iniziò il suo periodo di stanca, sfociato nella rassegnazione di ora, che si manifesta nell’alone confuso della sua luce.
Da qui avanzo fino al mio portone. Esso è incorniciato da lampade soffuse, che annunciano la notte e di fare piano, perché la gente riposa. L’avventura rocambolesca del giro dell’isolato si conclude con il rientro all’ovile. Giro la chiave nella toppa. Entro nel portone, poi salgo le scale. Al primo piano c’è una signora che vive con il marito. Lei pulisce scrupolosamente il bagno tutte le mattine, da trent’anni. Al secondo una famiglia con due bambini di 4 e 7 anni, che tornano a casa alle 18,oo, poi fanno il bagno, mentre i genitori preparano la cena. La vita si ripete, perché nella continuità trova conforto al passaggio del tempo. Eppure queste certezze non soffrono di presunzione, gli basta sapere di offrire calore e compagnia. Tutto il contrario dei discorsi che facciamo, sempre gli stessi, con le stesse parole, per non dire altro. E, così, la musica dalle radio, le notizie dei mezzi di comunicazione, anche loro restringono il mondo in un cortiletto angusto. Poi disegniamo l’otto rovesciato, parliamo di infinito.
Al terzo piano, un’altra signora accende la tv alle 6,30 del mattino, l’ora del tg. Mentre lo speaker annuncia le notizie, lei gira lentamente in casa, aggiungendo alla cronaca i suoi pensieri su come il mondo vorrebbe che fosse, rimestando dentro se stessa, per cogliere un sentimento affine al luce rosata del sole che sta per nascere. Di fronte e oltre la sua porta, un signore cicciotto, dai capelli impomatati e la faccia rossa, sistema i panni per la pulizia sotto al lavello della cucina, accanto ai detersivi. Si veste, apre la finestra per far prendere aria alle coperte, poi rifà il letto. Va in cucina, con il taccuino in mano. Una volta seduto al tavolo, segna le cose da fare nella giornata. Vive solo, ripara piccoli elettrodomestici, ma anche scaldabagni e lavatrici. Ha meno lavoro da quando li fanno per rompersi irrimediabilmente dopo la garanzia. Perciò, di tanto in tanto, impartisce lezioni di chitarra classica, la sua passione dai tempi della gioventù. Qualche ragazzino bussa alla porta vestito da nerd, per suonare accordi e trovarne altri: con se stesso e i propri sogni. Quelli che rimangono, mutando forma, come piante falciate, ma dalle radici forti.
Io abito al quarto piano, il bello di casa mia è che di notte si vedono le stelle, di giorno la luce. Comunque, sempre di stelle si tratta. Sui muri ho scritto versi di poesie e frasi di libri. Ogni frase o verso rappresenta una storia come l’ho vissuta io.
Manuela Grillo Spina
nei Condomìni avvengono le cose più bizzarre….nel mio caso ho la camera da letto confinante con l’appartamento adiacente dove ogni mattina alle 6 mettono in funzione il Bimby per preparare chissà cosa…e il rumore di quel motore che gira mi sveglia immancabilmente.
Ci si potrebbe scrivere un libro su tutte le “stranezze” condominiali! 🙂
E’ vero. Mi piace pensare che ognuno di noi coltivi qualcosa di bello e prezioso dentro di sè.