Sorge il sole, un attimo prima era notte. D’inverno le serrande scalano i muri dei palazzi, sostenute da mani audaci e occhi desiderosi di scoprire nuovi scenari nello stesso angolo di mondo. Le luci artificiali illuminano piccoli e grandi spazi metropolitani colmi di fiducia nel giorno a venire. I luoghi, in questo tempo, parlano più delle persone. Forse è perché di gente ne hanno vista passare molta, raccogliendone i sogni sparsi qua e là con un’occhiata rapida o un sospiro, all’insaputa dei passanti stessi, artefici inconsapevoli di quelle visioni. L’umanità spera nel destino e nella fortuna. Mi avvicino alla finestra e isso le vele. Ci vuole coraggio per navigare. Le serrande sono palpebre giganti che si schiudono sull’impulso di sogni più veri del vero. Ma cos’è vero in quella realtà di finzioni?. Adesso so che la verità si disperde ai raggi del sole, come i bambini quando giocano a nascondersi. Vaga mossa dal vento e gira nell’atmosfera fino a ricaderci in testa con gocce di pioggia colorata. Se mi avessero detto che l’amministrazione comunale avrebbe addobbato le vie del centro interpretando la mia visione non ci avrei creduto. Eppure è così, si vede che è una visione condivisa. Più guardo intorno a me e più mi convinco che per parlare di qualcosa devo aprirmi un varco nella realtà ufficiale ed entrarvi in modo deciso. Serve un inizio, con cui afferrare la prova inconfutabile dell’esistenza di variazioni musicali sul tema e fendere la corteccia dell’ordinario. Soltanto allora mi diverto.
Nina alza le serrande con la volontà di scorgere una macchia nel quadro, un difetto di fabbrica, un’imperfezione dell’insieme, a testimoniare che l’illusione vera, cui vale la pena credere, non è fuori produzione. Non si tratterebbe di macchie, difetti o imperfezioni se non ci fosse uno stampo, nel civilissimo paese in cui viviamo, una matrice fallata con cui imprimere i pensieri oziosi della gente e dare a tutti la stessa fisionomia.
La variazione sul tema è un altro piano di realtà, un’espressione benaugurale, un balcone fiorito in estate. Per avvertirla basta affacciarsi, come un balcone. I balconi sono un’invenzione straordinaria, pensata per non far crepare di noia gli individui chiusi nei loro loculi. Ognuno può fare ciò che vuole con le proprie orecchie, dopotutto viviamo in democrazia. Chi sente i rumori di fondo, chi gli strilloni, e chi non sente niente. Dipende dall’idea di partenza. Perciò, quelli che ascoltano gli strilloni seguiranno a contorcersi come vermi, quelli che sentono i rumori di fondo diventeranno sempre più abili nel percepire anche qualcosa di più. Se è vero che il mondo è un’immensa armonia, potrà capitare di sentirne la musica, come è già capitato a me aprendo la finestra di prima mattina. Quando è ancora buio, per l’appunto, cioè nell’attimo che precede la luce sole, pronta a rischiarare con la ragione ciò che potrebbe apparire solo un sogno. L’alternarsi della notte e del giorno è un evento importante e ricco di significati, soprattutto ora, perché, alla viltà della gente che declassa i sogni a non realtà, si può contrapporre soltanto una sinfonia ben orchestrata. Per fare ciò non occorre un equipaggiamento speciale, cioè apparecchi tecnologici sofisticati. Basta alzare lo sguardo al cielo tirato a lucido, mentre un assiepamento di stelle di diversa luminosità suona una melodia che corrisponde perfettamente all’animo osservatore e ciò accade per un accordo segreto che non so spiegare. A realizzarsi è un tempo diverso e un altrove, quando guardavi le stelle e ti preparavi a vivere un nuovo giorno da un altro angolo di mondo. Quell’attimo presenzia a ciò che è vivo nel cuore e lo sarà sempre. Suona lo scorrere del tempo impresso da una matrice perfetta, un’immensa dolcezza, un ordine superiore. Poi, nel diradarsi di quella musica, le cose di quaggiù prendono il sopravvento, ma un pensiero rimane.
‘Girare pagina è un’espressione odiosa’, Nina inaugura un nuovo foglio e scrive perché vuole entrare a gamba tesa nel consolidato. In parte per prodursi nell’ennesima smorfia irriverente sulle false certezze di molti, ma molto di più per addentarsi nel mistero delle improvvise corrispondenze tra il sempre e il qui ed ora. Quell’idea abrasiva, con cui scorticare la patina di rassicurante normalità, ti balena nella testa come un germoglio in primavera. Una corrispondenza pure quella. Infatti mica puoi prevederne né controllarne la fioritura. Il verso invece sì ed è quello che preme, come a una partoriente il nascituro.
Le serrande dei negozi si alzano, le auto circolano nelle strade. Sempre alla stessa ora puoi vedere il tale che esce di casa, un altro prepara la merce da vendere. Quella che chiacchiera per far sentire a tutti quanto è stanca della sua vita, tra beghe coniugali, panni da stirare e cene da preparare. E quello che ti guarda con boria, appannato dal fumo della sua sigaretta. Forse è il marito di quell’altra, entrambi convinti di avere il diritto di azzerare le ambizioni del paese intero perché da anni questo paese se ne infischia di loro. Ma come fanno?. Dietro la messinscena quotidiana c’è la vita: bizzosa, crudele, bella. Nessuno pare la senta. Eppure gira i fogli del tempo. Certo, non tutti i giorni si susseguono come le pagine di un libro, alcuni le riempiono, altri segnano dei limiti, un prima e un dopo. Luoghi, persone, esseri amati.
Nina cammina lungo il marciapiede e guarda i passanti: ‘Tutto si trasforma intorno a un’essenza che è per sempre. Se fermassi un tizio e gli chiedessi degli addii che ha detto, del momento in cui ciò che viveva è diventato all’improvviso il passato, senza un preavviso, senza esserne preparati. Se gli dicessi di come ci si sente quando la tua casa non c’è più e nel tuo cuore hai un nucleo compatto fatto della volontà di stringerti per sempre agli amori più grandi?’. Lei guarda gli altri in faccia, scrutando le espressioni fugaci per cogliere un indizio che le faccia capire la persona giusta cui chiedere tutto ciò. Ma la gente le cammina a fianco e sembra che nessuno abbia dovuto dire un addio, né abbia voluto eternizzare alcunché. Merito o colpa dei ritmi convulsi delle metropoli. Chi lo sa e, a volte, dubitiamo di poter essere capiti.
‘Buonasera, sono qui per il corso di scrittura’. Nina presenta il documento all’accettazione e ottiene una tessera per entrare in un grande edificio, un’istituzione dove di storie se ne sono raccontate tante. Si siede e attende che la lezione abbia inizio. É l’ultima. A sentire gli insegnanti pare che maneggiare le parole per raccontare qualcosa sia un gioco da bambini. Creare, inventare, stravolgere le regole, ma il risultato deve suonare bene se no non ha senso. Sembra facile. La fine della lezione è l’incipit di un racconto. Si parla di un ponte e di parole in tensione per dare forma al mondo di dentro e farlo esistere fuori. ‘L’arte è più della vita’, dice l’insegnante. ‘La cosiddetta realtà è troppo poco’, pensa Nina.
Intanto il sole accorcia i suoi raggi fino a concedere spazio alla sera. Una sera di città, apparentemente come le altre, ma si fa sempre in tempo a farla diventare speciale. La donna entra nel vini e oli, un luogo di ritrovo e di aggregazione del tutto sorpassato dal roboante caos dei centri commerciali e dei supermarket. C’è un gruppetto di uomini sbagliatissimi che fumano nel locale. ‘La vita è fatta di gioie e dolori’, dice uno. Un altro annuisce intriso più di rassegnazione che di sapienza, ma soprattutto di vino. Quello sobrio ha lo sguardo pieno di rughe, segni che rivelano storie in cerca di un approdo. Nina scandaglia il fondo di quegli occhi cercando un ponte di parole per arrivarci. La musica del mondo continua a suonare su gioie e dolori, diluisce il languore dei cuori, è qualcosa di più, come l’arte. Suonano mari e deserti, i monti, gli animali e le piante, il cielo stellato, il balugino rosato del sole al mattino. La sera si inerpica nel sentiero della notte, l’aria intrisa di smog e freddo cede il passo all’odore di pasti caldi e indumenti comodi. Nina varca la soglia del portone, apre la porta ed è di nuovo a casa.
Manuela.
sei bella dentro
Grazie!
non devi ringraziarmi,hai un dono e’ il tuo, ma sara’ sempre complicato per te farlo percepire ma chi ti ama lo sentira’
Ciao Rassel, ti ho ringraziato perchè sei gentile. Quello che dici mi fa piacere e mi sprona ad esplorare il linguaggio scritto per dar forma e contenuto a ciò che sento. Scrivere mi diverte e credo che tu lo abbia capito.
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arcalibera,continua a fare ma soprattutto a scrivere per cio che senti.
sono rare le persone come te.
Ciao Russel, sono del tutto d’accordo col vivere e scrivere in base ai nostri sentimenti, sostenuti da principi e da valori positivi. Per quanto mi riguarda riesco a mantenere una certa coerenza interiore, anche se a volte ciò significa che debbo compiere scelte drastiche, per allineare la mia vita su quei criteri. Uno degli aspetti divertenti della scrittura, però, è che devi dare forma, ovvero un significato alla materia incandescente, come uno strillo. Il linguaggio è evocativo, simbolico e, a differenza della comunicazione superficiale, non c’è mai la volontà di razionalizzare, organizzare gli stati d’animo per dargli un aspetto desiderabile. Scoprire questo meccanismo mi meraviglia sempre piacevolmente. Mi sono chiesta se scrivi anche tu, è così? Un saluto. Manuela
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si certo! come hai fatto a capirlo?
l evocazione ed il simbolismo che usi dnno ‘ un esatta e chiara interpretazione delle cose.
Leggerti e’come veder..ti.
io sono di BG e tu?
Rassel
Gli piaceva pensare a lei o con lei e , anche se la sua piccolla gallina( che poi piccola non era )
non lo sentiva, in poco tempo avevano fatto tanto..
piantato frutta e ortaggi, se con quelli vecchi ne avevano fatto macedonia o verdura in barattolo ,con i prodotti di stagione avrebbero fatto molto di piu
Il fattore era burbero ,ma adorava la sua gallinella,
era ispida , un po spennacchiata all apparenza fuori tenuta, ma all occorrenza fece le uova e permise alla fattoria di sopravvivere.
per molto tempo nel granaio, aratro ,zappe , trattori, fattore e la sua piccola gallina , riposarono la notte protetti e ad ogni alba , ricominciavano la loro faticosa semina in attesa di futuri raccolti.
Allora il fattore ebbe la conferma di quello che sentiva dall inizio dell importanza della
piccola gallina ( che poi piccola non era) nella sua fattoria, ma che non glielo avrebbe mai
ammesso e forse non glielo ammettera’ mai.
La cacciava ,la ciabattava , la cicciava, aveva provato a cederla al suo amico fattorino, in cambio di una capra, ma poi rifiuto’ in quanto la capra …faceva il latte e non il caffe’.
Ma era la sua caccia,la sua ciabatta e non ci avrebbe mai fatto il brodo ( era esile e spennacchiata andava protetta non lessata) e nessuno poteva prenderne il posto, ma questo la piccola gallina ( che nel frattempo sempre meno piccola era diventata )
non lo capi e decise di andare via a cercare altrove le colline in fiore.
E da quel momento ci fu una riedizione di un antico testo letterario del 900
che esortava la piccola gallina ….. in quanto le colline in fiore erano li.
los marcelos ferial
Rassel da BG Bergamo
Ciao Rassel, ho capito che scrivi immaginandolo. Cmq abito a Roma. Sono curiosa di sapere come continua la storia del fattore…
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il fattore aveva considerato la fuga della gallinella ,uno scatto d ira SEMPRE INGIUSTIFICATO,in quanto il motivo x cui era andata verso le montagne verdi, ERA ED E’ INESISTENTE. ecco perche aveva detto tutto come prima non per un ammissione di colpa , ma per un aiuto a rientrare visto il non fatto imputato dalla gallina.
Morale:
ognuno di noi e ‘ causa di se stesso,
il fattore ha amato profondamente la gallina , ma la gallina essendo senza cervello ha ragionato con le uova..
purtroppo nessuno di noi puo intervenire su cio.
oltretutto per insussistenza di motivi.
la gallina rimpiangera’ il suo fattore ,forse si o forse no,
per l eternita’ che l ha amata al di sopra di tutto e protetta da tutto tranne che… da se stessa.
sergio endrigo
Ciao Rassel, la poesia sulla gallinella esprime tenerezza, ma poi nella morale la colpevolizzi, come se il fattore non avesse responsabilità o non esistesse… La storia mi ricorda un qualcosa che mi è accaduto, ma penso sia una casualità. Ho frequentato di recente un corso di scrittura creativa dove insegnavano il metodo, cioè i passaggi che rendono tale un racconto. La spiegazione delle azioni dei personaggi è tra le cose da non fare, così ci hanno detto. Generalmente, anch’io, nella comunicazione, sono portata ad evidenziare i principi in cui credo. Però, quando scrivo non sono rigida come nella realtà quotidiana. In quella situazione li esprimo in modo differente, credo sia perchè la realtà quotidiana e come si comporta la gente spesso non piacciono e nella pagina scritta descrivo solo il mondo che vorrei. Cmq, come avrai notato anche tu scrivere è complicato e, per quanto mi riguarda, sono solo all’inizio. E tu, da quanto tempo scrivi?
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il fattore ha le sue colpe , tutte e ne era cosciente fin dall inizio.
ma ha sempre protetto la sua gallinella. ed invece lei lo becca. l ha amata tanto , non era plausibile tutto l odio,non va bene cosi..l avrebbe potuta arrostire in qualsiasi momento ma nn l ha fatto.
e’ ora che la gallinella la smetta?
Molto probabilmente il fattore non sa neanche cos’è l’amore e questo la gallinella, gallinella perchè l’ha definità così il fattore, ma gallina non è, lo sa. E’ ora che quelli come il fattore/maiale, le oche/maiale si guardino per quello che essi sono e la smettano. Per quanto mi riguarda invece oggi è una bellissima giornata, forse la fine di un incubo che dura da circa sette anni e lo voglio dire. Un saluto. Manuela
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Ciao Rassel, non so chi tu sia, ma lo immagino e ti chiedo di non occupare più spazio nel mio blog. Però una puntualizzazione: parli come se conoscessi i personaggi che scaturiscono dalla tua bizzarra fantasia ma si tratta della storia che hai inventato tu. Sebbene mi ricordi qualcosa che mi accaduto, a pensarci bene non somiglia affatto alla mia di storia. Cmq ti posso dire che la gallinella non la smetterà finchè le oche/maiale e i fattori/maiali non usciranno allo scoperto, finchè non mostreranno la loro faccia e non si sentiranno i grugniti in tutta la città. Ti piace questa versione? Ti auguro un buon anno di lavoro, anche se ti farai il culo… Inoltre, ti suggerisco di non fare come il fattore falsamente buono che voleva arrostire la gallina e credo che in quel fattore tu ti identifichi molto, perchè poi la gallina, che gallina non è, si potrebbe incazzare davvero. Un saluto. Manuela
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il fattore non e’ un fattore ma era carina la rima con il trattore,la gallina era solo questa storia all inizio ..non era per te..
i maiali nn volano e non ci sono mai stati tra me e te ma tu sei brava a vederli perche non ci sono ed ti ho veramente voluto bene..se pero preferisci sfasciare tutto e’ un tuo diritto ma non con questi elementi..non ci sono. stampateli su la fronte.
con tutti i difetti ed i pregi. magari una passeggiata al mare,che ne dici?
senza maiali pero’..
vedi tu .
un bacio da
rassel crov
Non ti firmi con il tuo nome, non sei limpido. Ti ho chiesto di non scrivere più nel mio blog e te lo richiedo. Ciao. Manuela.
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Pardon my monkey thumbs, manuela grillo spina
(dnno )danno
Il linguaggio è evocativo, simbolico e, a differenza della comunicazione superficiale, non c’è mai la volontà di razionalizzare, organizzare gli stati d’animo per dargli un aspetto desiderabile.
questa cosa mi affascina ..un esempio? 🙂
non e’importante il fattore ma la gallinella che non e gallinella ma un piccolo cigno .. come sta?
la storia vista dalla parte della .. gallinella:
Lascio’ il suo fattore
all’eta’ di 40 .anni
con in tasca due soldi
e niente piu’
aveva una testa di legno da anni
si sfascio’ anche lei
per qualcosa di piu’..
promise a se stessa
di non ritornare
dal vecchio fattore
con la sua gioventu’
dove nessuno
voleva sognare
i campi d’arare
e niente di piu’
comincio’ cosi’
a fare un gran casino,
girando paesi e
citta’
cerco’ la fortuna
nei quartieri
con il cane,
dimenticando la sua
realta’
un giorno in casa
di un grande poeta
trovo’ dei ragazzi
che parlavan di pace
di colpo capi’
che era quella
la meta
l’aveva raggiunta
per esser felice
ritorno’ cosi’
a fare altro bordello..
voleva portare
l’amore nel mondo
ma penso’ alla fattoria
di tanto tempo fa,
e senza soldi in tasca
corre ancora
verso casa
aveva capito
cosa conta di piu’
davanti alla sua porta
c’era il fattore
che l’aspettava
tutto come prima
e non chiedeva di piu’
e non chiedeva di piu’
dik dik