I giovani sono sassolini bianchi lungo strade cittadine, con gli occhi smarriti e ingordi di speranze. Li ho visti invocare un salvataggio come dispersi in mare. Con le loro barche, affondate prima ancora di salpare, chiedevano quale fosse il loro posto in questo paese. Dimenticando di esserlo, chiedevano un’opportunità per sentirsi vivi. Il brecciolino spesso custodisce fiori selvatici. Il branco li vuole per divorarli. Le nuove generazioni, monche di sogni, vengono sacrificate sull’altare dell’apatia, necessaria antidoto alla disobbedienza. Il rito iniziatico procura nuovi affiliati al ceto medio famelico, con referenti politici e scarsa propensione all’autocoscienza. Tutti lamentano il disordine costituito, la corruzione degli animi, ma si inchinano di fronte ai baluardi della rassegnazione: familismo, possesso, frigo e tv, esistenze fantasma, anestetico riscatto del week end. Qualcuno, invece, vuole cambiarlo.
M. abita in uno strano paese in cui le cose per andar bene devono prima andare molto male. M., inoltre, è una donna e, nello strano paese in cui vive, le donne sono preposte a fare la claque di uomini miserevoli. In Italia, infatti, per declinare la realtà al maschile, tutto o quasi tutto deve avere soltanto una definizione, cioè la definizione che conviene. M. sta per Mara. Le piace sentire il suo viso che s’increspa e le piace disegnare le coordinate del suo sguardo. Per scavare quei solchi c’è voluto tanto tempo. Mara è giovane, per questo motivo i suoi pensieri, in questo strano paese, sono soltanto sogni. Lavora in una boutique, con due loschi figuri, cioè una famiglia, ma di quelle che bisogna consultare un manuale di criminologia per capirne le intenzioni. La padrona (va in visibilio quando la chiamano così) pare la Madonna di Pompei. É fornita di un marito, che detesta in modo socialmente approvato e utile e di tutte le congetture più atroci tipiche di una mente affaristica media, con immagini e fantasie dipendenti dal serbatoio kitsch del teleschermo. Il marito si crede dio e lancia anatemi contro tutte le donne che ledono il principio di realtà, la sua realtà. Il caso ha un precedente nel mito. Come Apollo con Cassandra, la quale, per aver respinto le avance del dio, fu da lui maledetta e condannata a vaticinare senza essere creduta. Il mito sta a indicare che il potere non ha mai un’unica definizione, ma questo l’ometto non l’ha capito. La famiglia tipo così costituita predilige i suoi simili, che garantiscono un certo riserbo sulle malefatte condivise, tacciono sulle ipocrisie e, tappandosi gli occhi, fanno finta di essere davvero brave persone. I facenti parte della banda, parenti, amici e affini si nutrono del lavoro degli altri e la modalità prevista nella relazione uomo donna è quella dello sfruttamento. Sin da piccola a Mara hanno detto che tutto ciò è desiderabile, senza convincerla.
Un giorno, nella boutique, entrò un’anziana signora e iniziò a curiosare tra gli scaffali. I due orrendi individui non erano arrivati. Poi si rivolse a Mara: ‘Sai parlare?’, le domandò. ‘Sì’, rispose lei. ‘E parli?’ ribatté la signora con ironia. Mara annuì. ‘Lo sai che in questo paese per le donne vige l’obbligo del silenzio reverenziale?’ Non che te lo dicano papale papale, perché questa è una di quelle cose che non devono essere messe in discussione’. Mara la ascoltava interessata e l’anziana aggiunse: ‘Allora, sei prigioniera?’. ‘Non saprei, cosa intende?. Non ho commesso crimini. No, non sono prigioniera’, rispose. ‘Bene, guarda la realtà e raccontala’, disse l’altra. La giovane non afferrò il significato di quella frase, ma pensò che se fosse stata prigioniera non avrebbe potuto parlare, pur avendo il dono della parola. Subito dopo uscirono entrambe dal negozio. Intanto i due erano ritornati e, mentre servivano i clienti, Mara e la signora li osservavano. ‘Guarda, diceva l’anziana alla giovane, ‘guarda come pigiano i tasti della cassa per emettere lo scontrino. Come sono contenti di poter dimostrare di essere perbene in un modo così facile e conveniente’. ‘Siamo in democrazia’, disse Mara, ‘ad alcuni serve ad eliminare il disturbo di incontrare lo specchio. Lo specchio mi è amico, ma non sapevo che per essere uguale agli altri avrei dovuto tararmi al ribasso. ‘Una gran bella conquista, la vostra democrazia’, disse lei con ironia. ‘Dico davvero, so che molti ci hanno creduto e ci credono. Ai miei tempi, noi donne non ce la passavamo benissimo, però, uno che si credeva un dio, lo potevi anche mandare al diavolo. Almeno, non dovevamo campare frotte di specialisti e di uomini di chiesa preoccupati di farci sentire in colpa. Ma, anche allora, si giustificavano le guerre creando un nemico’.
Mara, con la sua esistenza, negava il misero potere di cui potevano avvalersi i coniugi ontologicamente disonesti, i quali covarono un terribile risentimento nei suoi confronti. Si prodigarono per nuocerle, poiché ignoravano molte cose, ma conoscevano bene la balla della rispettabilità, posta con la funzione di controllo sul comportamento femminile. Mara lasciò quel lavoro e fuggì dal naufragio delle speranze, da ciò che le avevano preparato e che alcuni chiamano una vita tranquilla. Un dì incontrò la signora nel parco. Tra alberi, alti come colonne di un tempio, non le domandò cosa stesse facendo lì e neanche se stesse aspettando proprio lei. Le due donne puntarono il loro sguardo sui palazzi. Le case ad un tratto apparvero come depositi di larve contenenti scarafaggi kafkiani. ‘Di giorno hanno le sembianze umane e la notte si trasformano in insetti’, disse la giovane, ‘con orecchie tese ad origliare le parole e i rumori che provengono dagli appartamenti degli umani. Poi, si rintanano nelle crepe del muro, nel pavimento, mentre noi, con un corpo ingombrante di palpiti, ci muoviamo, respirando l’onere e l’onore della vita’. Il vaticinio dell’anziana si è avverato, Mara parla. Racconta di giovani lungo le strade, impauriti dalla vita ancor prima di averla sfidata e della gioventù, che gareggia col trascorrere del tempo, sbocciando nel nuovo, in ciò che un attimo fa non c’era.
Manuela.