Sto con un quaderno in mano e scrivo. Lo spazio di pertinenza è quello di un sedile, nell’intercity Genova-Roma, lo sguardo esplora i dintorni, ma gli altri scompartimenti sono lontani. Osservo il paesaggio, che, nei mezzi di trasporto, è il mio passatempo preferito. C’è un uomo davanti a me, il cui viso, a tratti, si rasserena, poi si contrae di nuovo, perplesso. Pensa. Credo che voglia dirmi qualcosa. I raggi del sole filtrano attraverso il vetro. Forse aspetta che creino il momento adatto. Passa il controllore, ma è donna, quindi la controllora. La precisazione è per creare scompiglio, dissonanza. Controllora sembra una parola stonata e le parole delle donne sono stonate, anche per questo mi piace parlare in quanto donna. La controllora ci oblitera i biglietti. Anche obliterare suona male, ma questo è un altro discorso ed è tutt’altra stonatura quella del burocratese.
L’uomo si piglia i pensieri che filtrano tra le dita, tese a sorreggere le tempie e mi avvicina con un’espressione liquida. ‘Vedo che hai un quaderno’, mi dice, ‘vorrei raccontarti una storia’. Lo ascolto. Quando non pretendono di colmare distanze incolmabili o per costruirne altre, come garbati e civilissimi muri di confine, le parole sono per dire e basta. Il treno entra in una galleria con un rumore assordante: è la velocità, una delle conquiste che fanno imbaldanzire la gente. Il tempo dentro i treni, invece, scorre lento. Come un maître d’alto livello, crea l’ambiente adatto per i discorsi intimi, per l’incipit di un amore o di un’amicizia. Le stazioni ferroviarie, più che nodi nevralgici di un sistema di suprema efficienza produttiva, sono scenografie in cui gli individui lasciano pezzi di cuore o se ne servono per moltiplicarne gli effetti, per sentirli meglio poi. Avvolgono l’organo palpitante, metafora e fulcro del sentimento, con la carta stagnola, quella con cui da piccoli ci davano una prelibatezza, per custodirli. Ti accorgevi di quanto ti volevano bene da come incartavano la leccornia. Se l’involucro ben si confaceva al contenuto, allora eri veramente amato o amata. Altrimenti, ci rimanevi male. Ma, come si sa, i bambini offrono sempre un’infinità di chance agli adulti affinchè migliorino. Storie il cui mistero rimane custodito nelle carrozze dei treni, le quali fuori sfrecciano, mentre dentro trascorrono anni. Al riapparire della luce naturale del giorno, l’uomo inzia a raccontare: ‘C’è una ragazza a Roma, dove vivo, verso cui la sorte è stata davvero ingiusta. Per gli altri è diventata un personaggio di un gioco di società, viene seguita da un gruppetto di gentaccia, come una setta, che ficca il naso dappertutto. Ovunque vada, a un convegno, un teatro, al cinema, c’è qualcuno che informa della sua presenza. Neanche a casa la lasciano in pace, perché l’inquilina di sotto la spia e riferisce agli altri tutto quello che sente provenire dall’appartamento di lei. Anche quando va al bagno. Sono anni che questa ragazza vive così e si accorge di tutto quello che le hanno creato intorno’. Sento i fili della storia avvinghiarsi lentamente su di me. ‘Perché si comportano così, cosa è accaduto?’, domando io. ‘Tanti anni fa conobbe e frequentò un uomo, un cretino detto per inciso, il quale, come spesso succede, affermò di essere single, invece non lo era. Lui aveva fornito l’immagine adatta per piacerle, ma, ben presto, quella versione si rivelò falsa e lei se ne stava accorgendo. Così il tizio cominciò a parlarne male con gli altri. Quando la relazione finì tornò a casa e disse tutto alla manovalanza, la compagna, la quale, da vera cagna, andò a rompere le scatole a tutti quelli che conoscevano questa ragazza: dagli amici, al lavoro, per denigrarla. Ci riuscì per la pochezza della gente con cui ebbe a che fare, ma l’intenzione di quella donnaccia era di distruggere la rivale per modo di dire, perché lei non sapeva neanche che quella stronza esistesse’. ‘Poi cosa accadde?’, parlo in modo incalzante, ormai sono curiosa e voglio sapere tutta la storia. ‘Accadde che la ragazza dovette lasciare il lavoro, smettere di frequentare gli amici e cambiare casa, dato che il clima era diventato invivibile. Ma c’è di più, la gente si comportò in modo pazzesco: ogni suo discorso, ogni parola veniva distorta per ricavarne significati assurdi, cioè il significato che volevano attribuirle gli altri. Io penso che tanta gente che abita in questo paese sia fondamentalmente criminale e, quello che hanno fatto nei confronti di questa ragazza, ne è la riprova. Non so come sia riuscita a cavarsela, eppure c’è riuscita. La vedo spesso perché abita nel mio quartiere, è sempre colorata, anche quando sul suo viso passa qualche nube. Non che non si sia ribellata, anzi, lotta strenuamente per essere lasciata in pace e libera, ma non vogliono ascoltarla, vogliono capire solo quello che fa comodo a loro. A volte, penso ne abbiano paura, per la resistenza che ha dimostrato e dimostra, per la chiarezza del suo animo, in cui quella gentaccia si rispecchia. Questo sottobosco sociale è composto di infami, davvero, l’hanno presa di mira perché, vedendo lei, capiscono chi sono loro’. Al che una domanda sorge spontanea e me ne esco con veemenza: ‘Ma nessuno l’aiuta, voglio dire, non c’è qualcuno che abbia un po’ di coraggio e si offra per testimoniare e denunciare questi stronzi?’. ‘Io lo farei volentieri e so che a molti il comportamento meschino degli altri fa schifo. Il fatto è che tra quelli, donne e uomini, che la calunniano e tra quelli che se ne stanno zitti, c’è tanta gente da turarsi il naso. Voglio dire, si comportano così perché hanno una vita infernale in casa. Molte di quelle donne che sparlano di lei, per esempio, sono delle vere zoccole e la dimostrazione è che sparlano. Sono quelle che rimangono con uomini che non amano, solo per avere una posizione sociale e scopano con loro ma provano disgusto di se stesse. Solo che sono troppo vigliacche per prendersi la responsabilità di una scelta e scaricano tutta la loro frustrazione sul capo espiatorio. A me è capitato di conoscere una donna di quelle, aveva dei sentimenti da catalogo e li esprimeva nel modo più adatto per ottenere il mio riconoscimento e, in qualche modo, rendermi dipendente da lei. Ma si vedeva che fingeva in ogni situazione, anche nell’intimità. Come fanno gli altri uomini a non accorgesene?’. ‘Forse se ne accorgono, ma gli va bene così’, dico io. ‘Le donne stupide e incapaci di amare veramente sono meno impegnative delle altre’. ‘Sì, penso che le cose stiano così. Comunque io quella che mi voleva imbrogliare l’ho mandata al diavolo’. Il tono delle parole del mio interlocutore ha un qualcosa di bambinesco, cantilenante. Che stia ricordando i baci della madre, i consigli e l’affetto nutriti dall’infanzia.
Il treno, a 200km orari, fa brillare i frutti della tecnologia moderna su campi di un verdissimo smeraldo, che hanno accolto mezzi di locomozione assai meno sofisticati. Tra di noi si posa un silenzio niente affatto imbarazzante. Respiriamo per assorbire meglio il senso delle parole dette. Poi, l’uomo guarda le mie mani e il quaderno: ‘Sai, da anni la ragazza di cui ti ho parlato non ha un’amicizia veramente sincera. Tutti e dico tutti quelli con cui si confida vanno a spifferare il contenuto della conversazione, lo rendeno pubblico e dimostrano di non aver rispetto né dignità di se stessi. Fanno così per spavalderia, per essere al centro dell’attenzione, e io so che a lei, invece, tutta questa baraonda fa schifo’.
Io: ‘Ti dispiace per lei?’.
Lui: ‘Sì, mi dispiace e sento di volerle bene’
Io: ‘Perché mi hai raccontato questa storia?’
Lui: ‘Mi chiamo Carlo, ti ho raccontato questo, perché mi son chiesto che persona voglio essere. Un uomo capace di provare ancora dei sentimenti o un vegetale, oppure un individuo che va al lavoro, torna a casa passando per il supermaket e così per trent’anni, senza condizionale, spegnendo il cervello. Ti consegno un vissuto, anzi due, quello di lei e il mio’
Gli dico il mio nome e lo ringrazio. Adesso scorgo Roma, la scopro oltre le antenne e le paraboliche che captano messaggi via etere, sulla scia degli incontri e dei desideri lustrati a nuovo.
Manuela.