Come si vive nel lager del terzo millennio

Il lager del terzo millennio è un luogo dove uno vive la propria vita, anzi deve far finta di vivere la propria vita, la menzogna è la regola numero uno. La regola numero due è l’eliminazione di chi, non volendo mentire, mette a repentaglio l’artificio sociale. Sembrava che lo sterminio delle razze ‘inferiori’, di chi non è allineato al sistema e non si piega ad esso, fosse un abominio. Ma l’educazione civica ci insegnava ad attraversare la strada, non ad evitare di essere investiti da qualcuno che comunque avrebbe tentato di farlo, così per paura o per noia. Che ne sapeva il legislatore dell’astio, dell’insoddisfazione cronica che avrebbero portato la gente ‘normale’ a comportarsi come le bestie. La legge non può nulla contro il malanimo e la volontà di sopraffare, cresciuti di pari passo con un benessere effimero. Il calcolo innanzi tutto, per acquisire uno straccio di potere, subito dopo la convenienza, poi la scelta del/della partner, del lavoro e delle amicizie. Nella testa o nel cuore di ciascuno, credo, anzi spero, c’è un vecchio giradischi. A volte, sul piatto gira una canzone, stavolta è un verso, che fa così: ‘Se non son io per me, chi sarà per me?’.

Incontro la mia amica Iris un mattino, quando il cielo ti avverte che la vernice è fresca e i colori colano sui pensieri. Sediamo in uno di quei bar con i tavolini all’aperto, nel centro di Roma. Se ci vai nel fine settmana, mentre schiere di individui si riversano nelle pizzerie, puoi dire di non aver fatto niente di speciale, compiacendoti di dire una bugia innocua. É meglio accoccolarsi tra i resti di un passato artistico glorioso (benché sia fatto di pietra ci si sta bene, chè l’arte può esitere a prescindere dalla gloria ottenuta con le guerre), per bere un caffè e fumare una sigaretta, magari col sole che ti scalda e davanti a un paesaggio meraviglioso, che frequentare un posto alla moda, essendo trendy il luogo, non la gente, che è troppo pettinata. Come lager sono quei luoghi pubblici dove si buttano i disperati nel fine settimana o durante la settimana, essendo ormai diventati anche gli uffici o similari degli allestimenti per esibizionismi vari. Nell’intento di emergere, gli eterodiretti, maschi e femmine, cacciano su la loro testolina che poi viene risospinta all’istante nella melma catramosa dell’anonimato di massa. E più si aizzano più la mano invisibile li spinge giù. Invece delle divise hanno abiti firmati, la griffe è il numeretto identificativo, i corpi un involucro per appoggiarci i marchi. Donnette e ometti mediocri, rigorosamente il linea con gli standard nazionali, compiono riti di seduzione che hanno imparato nelle fiction tv. Poi si accoppiano in base ai modelli di mascolinità e femminilità in voga. E, poco tempo dopo, si ritrovano più disperati di prima, accorgendosi di non amarsi. Tanto più se ne rendono conto quanto più usano chicchessia per sfogare la loro frustrazione. Ma, abbarbicandosi uno all’insoddisfazione dell’altra, si illudono che il loro sia vero amore. Il tutto si conlude con scambio vicendevole di corna. Dopotutto, l’ometto ha bisogno della donnetta con funzione ornamentale e la donnetta di un poveretto cui rinfacciare la mancata realizzazione personale. Quale affronto per lei e per molte altre come lei, le quali, sin da piccole, sono state abituate a primeggiare in tutto, trovarsi ad accudire emotivamente uomini-bambini, trafficare con panni sporchi e camicie da stirare. Idealmente, perché la volontà di vivere di cui difettano le induce a chiamare a raccolta come forsennate un esercito di donne straniere, sfruttate, uno stuolo di servitù che neanche Buckingam Palace ha mai visto. Quelle sono le femmine italiche di nuova generazione: delle indemoniate pronte a sbranare le proprie simili. Sono femmine velenose, figlie di altre femmine velenose, che si accaniscono inspiegabilmente al fine di tenersi stretti uomini che non le amano e che non amano, non le fanno godere, le trattano come buchi fatti apposta per essere riempiti, che disprezzano la donna e la accettano solo nella versione di madre accudente. Il tentativo di alcune di anteporre i propri sentimenti ed esigenze a quelli degli altri, viene considerato dalle cagnette un atto di insubordinazione. Il motivo è che loro, le cagnette, non riescono a pensarsi come individui. Si dirà che nei centri sociali, ad esempio, le cose vanno diversamente. Mica tanto, è la risposta. Anno 2007, era accaduto da poco il fattaccio. Iris frequentava un laboratorio teatrale e, una sera, andò con i nuovi amici in un centro sociale (di sinistra) che si trovava nella zona in cui abitava. Non l’avesse mai fatto! Al diffondersi della campagna diffamatoria organizzata dalla cagna, quelli alternativi, che cantano canzoni impegnate, la presero di mira, come impegati del catasto che non perdono occasione per abusare di un misero potere. I suoi amici si fecero visibilmente protettivi nei suoi confronti, ma ciò non bastò a placare la smania collettiva. Il fatto è che a quei tizi piace schierarsi in base a ideologie che non esistono più, così, per avere un pretesto e farsi la guerra. Un po’ come succede nei parapiglia mediatici tra avversari politici, che si offendono, si insultano, poi vanno insieme a fare bisboccia. ‘È lo spettacolo della politica, carina, sveglia!’, direbbe qualcuno. Ho capito, però a tizio, caio e sempronio piace vedere gli altri che si insultano, perché tizio, caio e sempronio sono marci dentro. Eppoi, quelli dei centri sociali non erano anarchici e contro il sistema? Macchè, peggio dei fascisti di destra sono quelli di sinistra. Formano milizie in difesa dello status quo, dei privilegi dei loro padri, che gli permettono di bighellonare a spese loro. Una domanda: perché questo paese non cambia?! La risposta più plausibile è che a molti piace stare in un lager, camuffato da parco giochi per deficienti.

Ho parlato abbastanza. Adesso continua la mia amica, Iris dagli occhi grandi:

‘Mi piace stare qui e non fare altro. Vorresti sapere cosa ha significato per me tutta questa facenda? Eh, allora, ho capito che il gruppetto molesto è infastidito dai miei sentimenti, quelli che rendono l’esistenza non pianificabile a tavolino. Siccome loro non ne hanno, vorrebbero obbligare anche me a non averne. Pensa che la cagna morbosa, per dirla alla Carlo, nel tempo che fu mi seguiva passo passo, avrebbe voluto qualche sicario anche di notte e si servì di molti sicari di giorno. La volevo denunciare per stalking, ma nessuno testimoniò, perché, in questo paese, la donna-serva ha dei privilegi (ride), è considerata come un minore, irresponsabile di quello che fa e dice. Credo che lo stalking da parte di un uomo sia a dir poco urticante, ma da parte di una donna è schifoso, provavo ribrezzo sapendo di essere spiata dalla cagna. Ancor oggi, se sto in casa e canto la spia del piano di sotto diffonde la notizia, perché c’è sempre un branco di maiali, femmine e maschi, che specula sul fatto. Vogliono imporre la loro visione ottusa e striminzita del mondo anche agli altri, ma io gli presto attenzione per una frazione di secondo, poi volto lo sguardo e vedo pezzi di realtà ignorati: statue sui ponti del Tevere, angeli che brandiscono spade, simboli religiosi e simboli laici, bandiere italiane e europee, cartelloni pubblicitari, il profano. Che linguaggio parlano, cosa vogliono dirci gli speaker alla radio? Gli individui non si pongono domande, forse pensano di essere delle isole. Cosa vogliono da noi, perché è chiaro che vogliono la nostra attenzione. Ci dicono sempre le stesse cose per confonderci le idee? O, forse, sono loro ad averle confuse, come quando le oche starnazzano mentre leggono le notizie nel giornale del padrone’. Ascolto Iris e il mondo appare popolato di individui non estranei a se stessi, voglio cercare quelli che hanno il sangue dei fratelli nelle vene, per sentirci uguali, eppure diversi. È un bel mondo questo qui, non c’è da essere nulla di più o di meno di quello che si è e trovarsi non è difficile. ‘Se non son io per me, chi sarà per me?’

Manuela.

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Ho 48 anni, vivo a Roma, sono appassionata di scrittura
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