All’inizio era un esserino. Le donnette saputelle andavano a casa della madre per vedere la creatura. Tutte in fila, al santuario. Chi le augurava di sposarsi e fare tanti figli, chi di essere bella. Insomma, a sentire loro, era nata un’altra ausiliare. Di domenica invadevano la casa, ma non da sole, con i congiunti. Quelle di una certa età prima o dopo la messa, le cosiddette famigliole giovani nel pomeriggio. Allungavano il collo sulla culla per poterla vedere. Il giorno che la madre si sottopose al test dell’amniocentesi le amiche cominciarono a miagolare: ‘Speriamo che sia femmina!!’. Le bestiolione aggiogate al padrone dicevano così, tutte melliflue, mentre auguravano l’esatto contrario. ‘Le femmine sono solo guai, la gente non ti dice: ‘brava’, come quando partorisci un maschio. Noi siamo niente, non valiamo niente’, questo dicevano veramente. Le bestioline erano doppiamente incoscienti: lo erano nei confronti dei pensieri che non dicevano ed erano incoscienti di averne di pensieri. Quando uscivano dai loro petti, mostrati per mostrare l’attaccatura del seno, la madre li leggeva. Sapeva udire i rumori di fondo, quelle cose che gli individui emettono a mo’ di radar e non vogliono confessare neanche a se stessi.
Quell’essere vulnerabile era un grumo di vita, condensata in 4 chili di peso. Dunque, altro che vulnerabile. Il corpicino rachitico metteva a dura prova l’ipocrisia del mondo. Quanto facevano ridere quelli: più si sforzavano di sorridere più palesavano i pensieri sgradevoli in cui sguazzavano e non si davano pace se non rubandola a qualcun altro. Chiusa la porta ai convenevoli, la madre non sapeva se doveva amare quell’essere femmina nel modo in cui avrebbe amato un maschio senza dubbio. Dentro di sé si chiedeva che vita avrebbe vissuto la figlia, qualora avesse scelto fermamente di vivere da donna, ma sul serio.
Gli alieni esistono, sono tra noi, hanno sembianze umane e vorrebbero tutte le risposte del mondo. L’aliena aveva bisogno di lei. Le comunicava gioia, stupore, dolore, parlava col pianto e con il sorriso. La cercava quando si allontanava. Avrebbe ottenuto un’immediata e meritata gratificazione se, al posto di una femmina, ci fosse stato un maschio di cui prendersi cura. Il maschio va adorato. Va adorato come una piccola divinità sin dalla culla. La reverenza è un diritto inalienabile del malcapitato ducetto in erba ed è un dovere sociale. La ricompensa della madre consiste nella celebrazione pubblica della serva. Non siamo tutti alieni, la femmina è più aliena del maschio ed è un vantaggio. Infatti, occorre solo e nient’altro che l’amore per prendersi cura di una nata femmina. Non l’amore banale, ma un amore che non sai ancora di avere nel cuore. Non lo sai, ma ce l’hai. Di solito le madri si identificano con le figlie, danno vita a rapporti collosi, che solo raramente evolvono nel rispetto dell’indipenza della persona. C’è da volersi bene per voler bene.
La madre osserva quell’essere, colta da un amore piovuto dal cielo, di quella specie di amore che dà una ragione a tutto, mette in ordine le cose e anche a quelle storte trova una legittimazione. Le cose storte le allontana a mille chilometri di distanza, tipo le cantilene delle madri antiche che servivano a scacciare entità malvagie dalla culla dei neonati. Gli adulti si ricordano di se stessi quasi mai, ma quando fanno i figli si ricordano e si impietosiscono come i vecchi che piagnucolano per ogni sussulto del cuore.
L’esserino sgambetta emette dei suoni. Ormai, è nel mondo. Una bocca in più da sfamare, una goccia caduta da una nuvola divina. Nessun altro è come lei. Dei tanti mondi piovuti su questa terra, la madre ne ha davanti un altro, un’aliena.
La madre si tranquillizza, il suo compito non è così gravoso. Ha partorito una femmina, ora deve farla crescere. Un giorno, quando si accorgerà degli inganni, delle menzogne e delle ingiustizie su cui la maggior parte della gente basa la propria non esistenza, vorrà schierarsi dalla parte di quelli cui non danno quasi mai ragione. In ogni modo avrà un posto nel mondo, avrà dei progetti, degli obiettivi per cui vivere. Lei non deve far altro che crescere una femmina. Scompariranno le aspettative mal riposte. Gli altri vorranno qualcosa da entrambe e non esiteranno a farglielo sapere. Ordineranno, perché la società alla donna dà degli ordini. Secondo alcuni tutto ciò è normale. La madre rinuncerà a plasmare quell’essere femmina per farlo a sua immagine e somiglianza. Le rimprovereranno di essere libere, di non avergli chiesto il permesso di vivere come credono. Non sarà una figlia-capolavoro, con il compito ben preciso di risarcire i genitori dei loro sogni non realizzati. In età da marito non esporrà la figlia al mercato, affinché il mondo sia costretto a riconoscerla, affinché si avvicini il miglior offerente, ovvero uno dei peggiori ometti che si possano incontrare. Sarà un aliena per tutta la vita, forse. Ma libera.
Manuela Grillo Spina.