Il mare è un destino. Gli ospiti maldestri, giusti e in tempo, vi si accostano privi di familiarità. Muniti di attrezzi superflui, portano le grane del mondo, che il mare rigetta come bottiglie di plastica. Con fare poco riflessivo, dicono: ‘Eh, sì, oggi andiamo al mare’. E così, vanno.
Guarda quel tronco d’albero, stava lì anche prima. Durante l’inverno era solo. Non cambierà per nessuno. I flutti, nel loro ripetersi perenne, li conosci uno ad uno. Loro parlano e tu annuisci. I villeggianti non si sentono mai stranieri, eppure lo sono. Il mare li accoglie, gioca il gioco del silenzio. Il vento ruba le parole che non vuoi sentire. Non ti sforzi nemmeno ad appaiarle al labiale, ormai se ne sono andate, volteggiando nell’aria. Torneranno come il polline, a sottotitolare quello sguardo fisso su di te. I giusti, d’estate, vanno al mare, abbandonando tutto, anche se stessi, per vivere la vita che gli hanno assegnato. Ma il mare è un destino, non solo meta né viaggio. E io vi faccio ritorno.
Scogli cupi e freddi, battuti dalle onde, aprono le fauci in lunghi respiri. La sabbia si scrolla di dosso il tempo, vuole farsi bella per l’estate. La noia e l’indifferenza dei giorni in cui non ti riconoscono sono rotoli di gommapiuma, più pesanti del masso di Sisifo. Con in mano le buste della spesa la signora attraversa la strada, lei è la via del mare, così come le automobili su cui campeggia il giorno. Quelle camicie chiare, con i colletti timidi, stirati da donne, araldi di sperata frescura, sono anch’esse la via del mare. Fronti lucide camminano su e giù nei marciapiedi, che a domandarsi dove vanno prendi respiro dai tormenti. Uomini saccenti, ragazzi che li imitano, anche questa è la via del mare.
Canotta bianca, con il numero 7 e pantaloncini rossi. Io sono un magro e nerboruto atleta. Sto sulla linea bianca. Sparo e via. Corro il primo ostacolo: battibecchi quotidiani e il secondo: fascismi da post su fb. Corro sul terzo: la giungla lavorativa neoliberista. Il tempo è veloce, i muscoli tesi e il volto contratto dallo sforzo. Non mollo. Corro. Raggiungo il quarto ostacolo: l’urgenza di trovare un destinatario cui dedicare il mio impegno. No, questo non ve lo do, serve a me. E’ per quando mi specchio la mattina, con l’intenzione di ritrovarmi tra quello che vorrebbero che fossi e quello che voglio essere. Volo. Arrivo al traguardo. Con scivolata spettacolare rockettara? No, ci arrivo rallentando il passo, in defaticamento, con le spalle un po’ alzate, a far prendere aria ai polmoni e il capo che guarda la pista. Nella mente la testa orecchiuta e calda della gatta. Ecco il delta, della via del mare.
Questa estate ce ne andremo al mare. Quindici orizzontale: la vuole chi ce l’ha, 4 lettere. Scambiatevi un segno di pace. Pollice alzato, ovvero patto di non belligeranza all’epoca dei social. La musica della radio sfiora i timpani. Le grida dei bambini si allontanano. Tu, lentamente, scivoli nell’oblio. Il tuo alter ego attrezzato a circolare nel mondo borghese ti sfila davanti agli occhi, tutt’intorno divise e belletti conformi alla norma. Quella te prende l’autobus, si muove dritta o a destra oppure a sinistra, ogni tanto volta direzione. Dici, quella sono io e pure questa sono io. Riprendi il coraggio di guardare l’azzurro e di esclamare: ecco la tonalità che mi dona! Chiazze di luce: Atlantide emersa. Sul promontorio il radar intercetta vaghe promesse di felicità. Esse attraversano fulminee i sentieri, salgono i dirupi e sfociano nel viso, percorrendo la via del mare.
Manuela Grillo Spina