Uno, due, tre, mille gradini schiacciati e poi ingoiati dalla scala mobile. Se da allora avessi contato il saliscendi quotidiano, sarei arrivata in cima all’Everest. Io non sono diversa dagli altri, forse, anche questi altri si fanno le stesse mie domande. Oppure, accettano il fatto di sbatacchiarsi, lo accettano come una realtà ineludibile. La scala mobile è un attrezzo calpestato da tutti i viaggiatori pigri, dunque, dalla maggior parte. E’ il tramite che conduce da sotto a sopra. Attraverso la scala mobile emergi in superficie, come in una risalita dal cuore della terra o da una discesa negli inferi o anche nell’inconscio. E’ solo un mezzo e, sebbene i saggi dicano il contrario, per i più non conta. Conta l’arrivo, non il viaggio. Primo problema: le biblioteche e le università sono estranee al mondo di fuori; i mezzi di trasporto, scale mobili comprese, sono considerati solo un tramite. Secondo problema: gli ambienti non sono separati, ma c’è intercomunicabilità. Il percorso per raggiungerli non è come tutti gli altri percorsi.
Appoggiata al corrimano, che non corre mai alla stessa velocità dei gradini, ma va sempre un po’ più lento, penso che il viaggio è formativo a suo modo. Una rampa come questa potrebbe misurare la distanza che ti separa da una scoperta. Tra dieci minuti al massimo sarai in sala lettura, nella biblioteca centrale e saprai, finalmente, qualcosa che ora ignori. Per questa ragione la fermata della metro ‘castro pretorio’ è veggenza, sicurezza del futuro, un punto fermo nell’universo. Il mondo è ancora il luogo dove tutto è possibile e, stavolta, ci puoi scommettere che il possibile prenderà per mano l’impossibile, suo fratello e si compirà.
Sono disposta a sentirmi dire che va tutto bene, anche un’ora ogni tanto, pagando 40/60 euro l’ora per un massaggio shiatzu, ovvero per la versione adulta delle carezze di mia nonna. Alcuni hanno sostenuto che è cosa del tutto diseducativa elargire carezze ai bambini molto piccoli, l’hanno paragonato al ciuccio, insomma a qualsiasi consolazione o momento di benessere transitorio con cui gli adulti cooptano le menti dei piccoli al loro mondo falso e cinico. Io non sono d’accordo, a parer mio anche Atlante aveva una nonna che da bambino gli faceva le carezze. Per questo la mia, avendo capito già allora ciò che gravava sulle mie spalle, trovò il rimedio. L’impresa titanica può anche fallire e spesso lo fa, l’importante è ricevere una carezza, un abbraccio. Noi siamo eroi, così ci piace immaginare; forse, anche dèi, ma abbiamo bisogno di conforto. Sfogliamo le pagine dei libri con lo scopo di raddrizzare il mondo, di metterci a posto l’animo, così come lo sciroppo ci mette a posto il fegato. Senza rassicurazioni non potremmo vivere, l’importante è saperlo e non vergognarsene. Anche questo è passato attraverso le carezze di mia nonna. Io mi figuro quella di Atlante. Quando il piccolo titano chiude i libri e il mondo ricomincia a prendere la storta postura di prima, allora lui li riapre con notevoli sforzi e ricomincia a rimettere tutto per dritto. Chissà che sia davvero così anche per noi. Occhi fissi su una pagina, all’improvviso un suggeritore ti spinge a sgobbare, a sostenere palazzi e spostare masse assiepate male. “Forza, riparati dai venti contrari facendoti scudo con la mano”, dice. E, mentre la pelle del viso invecchia alla fatica, tu spendi soltanto il tempo a tua disposizione. Consumandoti non avrai rimpianti, che t’importa dell’immortalità? È un mito sovrastimato e non è affar nostro. Naturalmente, il suggeritore lo consiglia per non suscitare invidia né tracotanza, atteggiamento biasimato da tutti gli dèi del mondo. Nel mondo sovrumano accade qualcosa di simile. Il piccolino è curioso e vuole comunicare con i mortali un po’ troppo spesso. Perciò, per scongiurare il rischio di emulazione, la nonna fa vedere ad Atlante la vita standard di un umano. In questo modo il bimbo capisce che la nostra mente dimentica chi si è stati, non sapendo ancora chi diventeremo. L’oblio, il ricordo frammentario e, soprattutto, il cambiamento inducono il titanino a comprendere che gli esseri umani non saranno mai dèi né titani come lui e si rallegra un po’. Ma la passione per noi non gli passa e tenta di comunicare in tutti i modi possibili e immaginabili, specialmente nei luoghi come biblioteche e università. Sarà per questo che quando siamo lì, dèi e titani ci prendono nel petto e ci portano in alto.
Manuela.