
Sarà che oggi le parole e le cose non corrispondono più tanto bene. Era bello quando le immagini prendevano vita, volavano nell’aria, si fermavano come farfalle sui fiori. Donavano un senso alle cose del mondo, a quelle che meritavano attenzione e che ora sembrano svanite.
L’adolescenza è acqua ruvida: è fresca, spumeggiante e ferisce. Ha tanti colori, come la verità e ha tante forme, in un momento esplode di gioia di vivere, in un altro affiora un pensiero che incupisce e stride. Maria, l’adolescente, ritorna a casa da scuola. E’ un fatto che succede tutti i giorni, sempre lo stesso percorso. La cittadina è piccola, perciò, conosce tutti e tutti la conoscono. In ogni sentiero, anche in quelli che percorriamo quotidianamente, c’è sempre qualcuno che non conosciamo. Una persona, un luogo, un accidente che si presenta, a volte, solo per il gusto di turbare quell’incedere da sonnambuli, un po’ saccenti ed esperti della nostra vita. ‘Ehi, bambina, potresti aiutarmi?’, grida una signora dal balcone. ‘Certo’, risponde Maria, ‘cosa posso fare per lei?’. ‘Mi sono cadute le mollette, saresti così gentile da raccoglierle e portarmele?’. Maria esaudisce la richiesta della vecchietta che si chiama Ersilia. La signora è piemontese di origine, tratta male tutti, poiché il suo orgoglio sabaudo la fa sentire superiore agli altri concittadini. Però, con Maria è gentile. Siccome la faccenda delle mollette succede spesso, Ersilia prepara delle pagnottelle dolci da regalare alla ragazzina. A volte, Maria le mangia durante il tragitto, quelle che avanzano le porta a casa.
Non diciamo che la famiglia sia povera, ma neanche che se la passa bene. Quel pane insospettisce la madre. Più che un sospetto è un rigurgito di dignità, cosa che ormai, cioè da quando le condizioni economiche sono peggiorate, mette ovunque, anche quando non ce n’è bisogno. Sono tanti i modi che la gente usa per farti sentire una pezzente, rimugina tra sé. Dovrà mandarla all’inferno, prima o poi, perché con il pane non si compra nessuno, demonio di vecchia. Conclude così la ruminazione solitaria.
Dopo aver perso il lavoro da insegnante di danza, Marta s’è messa a cercare i famosi lavoretti. Passati i 50 ha perso lo smalto, come il piatto della doccia, su cui si sono formate tante piccole rughe. Nel suo viso spiccano gli occhi. Essi soli resistono al trascorrere del tempo, come se tutto il resto invecchiasse e gli occhi no. L’ultimo ricordo del suo mestiere è lo spettacolo ispirato a Pina Bausch: Kontakthof, per gli over-65. Il marito, scenografo, ne era entusiasta. Aveva pensato di organizzare una serata gratuita, mettendo all’entrata un bel cartello: ‘Non meravigliatevi che il percorso sia accidentato, non avete pagato il biglietto’. ‘E’ una metafora della vita’, disse.
La Pasqua è attesa, come sempre. Ogni festa ha i suoi preparativi, a Natale si pensa agli addobbi, a Pasqua, invece, prevalgono incarichi da fine letargo come pulire la casa, il terrazzo o il giardino. In ogni caso i dolci si comprano, come a Natale. I palazzi alti della grande città sono pieni di cose: raccolte differenziate, vestiti, cambi di stagione, piumoni da portare in lavanderia, bollette, ricevute da conservare. Dentro i palazzi le persone, tantissime storie che hanno almeno un capitolo identico. E poi ci sono i pensieri di ciascuno. Questi pensieri non contano, visti così, chiusi in enormi edifici, incastonati in alveari di balconi, fiori e panni stesi.
Dato che uno attende, qualcosa di insolito s’avvera, magari stando in piedi, un po’ sbigottiti a rimirare il volo lunare delle ali dei gabbiani all’alba. L’arrivo della primavera anticipa il giorno e il chiarore che esso porta con sé, imitando il lenzuolo di un assonnato. Con il giorno e il chiarore affiorano dalla notte, con notevole anticipo rispetto all’inverno, le impressioni che la natura ancora ci regala. Così, dopo aver pulito casa, Marta si guarda intorno, controlla che tutte le cose siano a posto, che tutto sia pulito, affinché il mondo non vada fuori asse. Squilla il telefono. E’ la cognata che li invita al pranzo di Pasqua, ‘come sempre’, ci tiene a precisare. Cioè, visto che casa vostra è un buco, sono costretta a invitarvi nella mia. Questo è il retropensiero. Irene, la cognata di Marta, ha due bambini. Va bene, l’invito. Ma non è questo l’evento atteso e neanche il fatto di aver pulito a fondo la casa.
Di solito chi regala l’uovo esclama: ‘Che stupidaggine ci sarà dentro?’, questo sia prima che durante lo scarto. Una volta aperto e vista la sorpresa, si può affermare che sì, è proprio una stupidaggine. Oggi come oggi tutto ciò si perde, un po’ a malincuore perché i convenevoli, tollerati dal giudice più spietato delle ipocrisie, danno sapore alle feste. Oggi, per l’appunto, il teatrino dei semplici ha lasciato il posto a certezze che non permettono a nessuno di avere dubbi durante lo scarto dell’uovo. Siccome costano parecchio, la sorpresa non può e non deve essere una stupidaggine, perciò viene meno la commedia. Quanto detto è confermato dalla reazione della bambina, la quale, giunto finalmente il giorno di Pasqua, al suono del campanello, è corsa alla porta per accogliere gli zii e la cuginona. Ha agguantato l’uovo dalla busta, non si è limitata a scartarlo, bensì l’ha disintegrato per prendere la sorpresa. Una volta stretta nelle mani e rigirata a 360gradi, ha definitivamente gridato: ‘Che schifo!’.
La povertà è quella condizione che gli altri ti fanno capire quando, per esempio, c’è una borsa nelle vicinanze e loro corrono ad assicurarla. La povertà è una condizione degli altri, dunque, ma riguarda te. Così riflette Marta a seguito della consueta esplorazione sbrigativa e obbligatoria della stanza da letto del fratello. ‘Lasciate pure i giacconi sul letto’, strilla la cognata dalla cucina, durante le visite dei parenti. Così succede anche oggi. Sennonché, nel momento in cui vede Marta passare accanto alla sua borsa aperta con 50 euro in bella vista, lei si fionda per controllarla. Tristissima Marta impreca dentro e neanche può dirlo al fratello.
Maria fa piroette a rotta di collo, così che i piccoli se la ridono di gusto. La gioventù è tutta fuori, è un andare incontro alla vita urlando di felicità, come quando si sta sulle giostre con i seggiolini detti anche calcinculo, forse un presentimento di ciò che avverrà. Invece l’età adulta è fatta di cretinate, scaramucce da poco. Maria si sussurra dentro la speranza di non diventare come loro. Il presente travolge ogni cosa, noi compresi. Marta guarda la figlia, indovinando i suoi pensieri. Stavolta li lascia stare, rispetta il sacrosanto diritto di sentirsi eterni. L’attimo vissuto trasforma anche la nostalgia della gioventù. S’accorge, infatti, che i suoi ricordi, come se fossero caduti per disattenzione nella betoniera, vengono amalgamati dal tempo che passa e tradotti nell’attualità scialba, fatta di piccole certezze. Insomma, diventano cose cui ripensare con ponderazione e saggezza. Una condizione decisamente dura da accettare.
‘Lega la piante dei piselli’ ha tuonato tuo padre giorni fa, racconta Ilde, la madre di Marta, al fratello sul balcone. E’ andata così: stavano nell’orto moglie e marito, a zappare. I piselli erano cresciuti, qualcuno s’era piegato e il bastoncino che lo teneva pure. ‘Sbrigati’, gridava Aldo come un matto. ‘Io mi agitavo, perché avevo i guanti e non riuscivo ad seguire le indicazioni, il filo mi sfuggiva dalle mani. Più gridava, più mi agitavo. Alla fine mi lancia il sacco degli attrezzi sul petto e se ne va’, Ilde s’aggiusta la camicia e sospira, come per rassettarsi l’anima. ‘Qualche giorno dopo tuo padre mi ha chiesto scusa’, conclude la donna con un sorriso di cortesia. La sera, davanti allo specchio del bagno, mentre lavava i denti, episodi di vita degli ultimi decenni hanno iniziato a scorrerle nella testa come treni veloci. Uscita dalla stanza s’è scrollata come i cani, per cominciare una nuova epoca. Questo, però, ai figli non lo dice.
Il pranzo di Pasqua è fatto di cose buone che tutti mangiano, mandando giù risentimenti, ricordi tristi e qualche attimo di gioia familiare. Per potersi accontentare nella vita basterebbe il pane che nutre, non uno qualsiasi. Dalla tv accesa risuona Titine. Maria avanza roteando il bacino: l’andatura tipica dello spettacolo in cui la gente scherza, si abbraccia, corre, ride, si fa i dispetti. Insomma, recita se stessa. I bambini litigano animatamente con lo zio per la cioccolata dell’uovo, poi corrono a imitarla. L’evento inatteso ha messo a posto le cose. Sembra il gesto compiuto a fine giornata da un giardiniere stanco, cui manca solo spostare un tantino l’asse del mondo, riporre gli attrezzi e tornare a casa. Un gesto semplice che ha riportato la serenità sul viso di Marta. I gesti infantili, i tic, le smorfie e i bisticci accontentano quella voglia di non dover dare giustificazioni, nè spiegazioni. E’ il non detto del quotidiano che emerge e che dice: ‘Non parlate di me. Non parlate di me se non capite, voglio restare un enigma’. Quello che non c’è bisogno dire, come se ci fosse un patto stabilito in un tempo lontanissimo, è che, davanti allo specchio al mattino, nessuno è obbligato definirsi, al fine di passare in rassegna, giorno dopo giorno, i punti di forza e di debolezza. Se ci sono tutti o se qualcuno s’è perduto e ha lasciato il posto ad altro. Nei colloqui di lavoro sei brava se ti definisci in poco tempo con 10 aggettivi, ma nella vita è inutile. Ci vuole altro per dirti chi sono: uno spettacolo, una musica, la pagina di un libro, una foto e anche così non è tutto quello che sono. Non posso sapere ogni cosa, a volte, improvviso, bisognerebbe rispondere così al colloquio. Di fatti, che ne so se desidero un contatto umano in mezzo a tanti impegni che la vita mi pone di fronte? Non lo so, finchè non provi ad abbracciarmi. Allora, mi sento come quando penso di avere fame, poi bevo e scopro che avevo sete. Ma, se ti avvicini troppo e in malo modo, tiro calci. Ecco tutto. Ma vaglielo a dire.
La famiglia ha un trucco. Veramente, ce ne ha tanti. Uno di questi consiste nel fatto di saper sciogliere i nodi e la complessità dei rapporti, agevolandosi dei ruoli di fratello, sorella, coniuge, padre o madre, figlia, cognata e su ciò stabilisce quando corre l’obbligo di volersi bene, quando è opportuno detestarsi. In questo conglomerato di persone, messe insieme dal destino, c’è sempre un anello debole, che incarna i pensieri degli altri su di sé e non esce facilmente da questo groviglio. Questo è un altro trucco. Il vantaggio di farne parte consiste nel sapere di avere un posto e che il tuo è quello dove ti trovi, cioè sai di non occupare il mondo abusivamente. Un’altra trovata è questa: fornirti di una barriera lì dove sei. Una specie di bolla di vetro da azionare, capace di ricacciare un fatto brutto. I luoghi di contatto sono come i misteri del cosmo, invece. Marta e Maria ne sono attratte, senza esitazione portano a termine il compito improrogabile di andarseli a cercare. Vanno di qua, vanno di là, un giorno li trovano. Dell’esperienza di libertà che fanno? Marta non può che metterla nella bolla protettiva. Così l’equipaggio è al completo, può partire lontano dai fatti brutti. La custodisce nell’animo, come un’ispirazione, restituita al mondo sotto forma di danza. Sono fatti suoi, cui partecipano gli altri, che non la riconoscono come libertà. Solo così può nascere un’altra volta, sempre sola, s’intende. Perché da grandi la maggior parte non sa che farsene della libertà. La si porta in giro, su un vassoio d’argento, presentandola come il servizio buono della nonna. Io sono Marta e sono libera, fai caso che dica. Ecco a voi la mia libertà: una moneta fuori corso, qualcosa da scambiare sottobanco, da capirsi al volo con l’altro senza tante parole. Maria rimane a giocarci, l’età glielo permette. Beata lei che non sa cosa siano i compromessi e che della vita ha una così alta opinione, pensando che qui dentro c’entri tutto ciò che desideriamo essere.
L’evento atteso era questo.
mgs