Metamorfosi.

IMG_0458[1]Al mattino si mette sull’uscio: giaccone e borsa a tracolla, mentre aspetta impaziente, munito di sbuffi e imprecazioni. Aspetta me, bizzarro a dirsi. Io stendo la matita blu sugli occhi: flutto ribelle che si attorciglia come un corpo arso di strega o di eretico. Le labbra s’arricciano, i contorni del viso s’increspano indomabili. Stendo la matita sugli occhi, ma vedo lui che sbuffa e impreca. Così, rischio di tracciare una linea corposa su una palpebra e una linea sottile sull’altra. Forse questo renderebbe giustizia alla me che si specchia, rappresentando una parte istintiva e multiforme e un’altra che ha una forma e soltanto una, come da accordo.

Lo specchio, strumento complicato. Una volta vedevo il riflesso dei miei pensieri più veri. Allora non faticavo come ora a ricordare l’odore di un fiore respirato in un attimo e poi soffocato nel tritatutto dei doveri da assolvere per dirsi presenti. Ho assimilato malvolentieri l’immagine della donna con frustrazione d’ordinanza. Sono recalcitrante al misero destino assegnato alle donne. Dopo il rassetto della stanza e con le mani che ancora puzzando di candeggina, arrivo allo specchio come una sopravvissuta. Mi soffermo sui lineamenti scomposti, che, disordinatamente, obbedendo alla fisionomia imparata, si assimilano nello specchio per ricomporre il mio viso: un unico di molte parti. Faticoso per loro staccarsi da terra, dove ero qualche attimo prima. Al mattino, a mente fresca, ti recuperi nello specchio. L’affondo senza paragoni arriva nel confinamento nel mausoleo fornito di elettrodomestici a prezzi modici che è la cucina, dove nessuno ti obbliga a stare. Specchio, specchio delle mie brame, chi è quella lì? Prego, fornitemi un patriarca dispotico cui ribellarmi.

Le parole viventi tendono a scomparire, come probabilmente ho fatto io che dimoro oltre i mondi conosciuti, spingendomi fino a quelli sconosciuti. Passo dopo passo, al rumore stridulo delle incomprensioni, traccia di un disallineamento costante tra il mio animo e quello altrui, ho raggiunto spazi inesplorati. Ho trovato spazio in luoghi freddini, però, dove regna il silenzio perenne. E da laggiù torno ogni giorno, grazie a richiami e fattori contingenti, quello che comunemente si definisce la realtà quotidiana.

Lui sta sull’uscio, giacca indosso e borsa a tracolla, come ogni giorno. Ha l’impazienza di chi si prepara a vivere e non vive. Attende non me, ma se stesso.

Manuela Grillo Spina.

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Ho 48 anni, vivo a Roma, sono appassionata di scrittura
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