Voglio il grigio metropolitano.
Voglio occhi vispi, bocche in primo piano.
Voglio la musica, della radio il fiato,
la voglio che s’unisce al giorno spaiato,
quello sghembo, messo per errore
nella scatola dei giorni di sole.
Voglio sentire lontano nel cuore
il goffo indugiare, il lento esitare,
i giorni spaesati, i vetri bagnati,
i piccoli passi sulle orme dei grandi,
esordi intimoriti da luci arroganti.
Per sapere che la gente porta con sé
il discreto lume in cucina nell’ora del caffè.
Voglio il salotto elegante, dove il guru
prepara l’atteso rito pagante.
Voglio il vociare cose che durano un giorno,
rughe che affiorano e chiosano il racconto.
E’ sottocute del caos noioso. E’ tondo.
L’anemone schiuso, pupilla del mondo.
E’ l’affondo su zucchero a velo,
tazzine sonanti, ombrelli goccianti.
E’ la coda di una nota
e fa volare i passanti.
Nelle vie in tumulto, aleggia un motivo,
sembra un viso mosso al sorriso.
Sfiora tetti, palazzi e antenne che
s’aprono l’abito a toccare la pelle.
Liberati dal sonno,muovono i fianchi,
sul grigio il groviglio di corpi danzanti.
Confortevole è il ventre metropolitano,
che ci accompagna, allungando la mano
e sorride ammiccando tuttavia,
a quando colpirà al cuore la nostalgia.